Kundalini, il risveglio.

Ho trovato il mio posto, il trono, il mio regno. Pensavo fosse un a casa in riva al mare, pensavo fosse un uomo da sposare. Credevo servisse una collana d’oro o che d’oro fosse almeno la carta nel borsellino. Ma diciamo che certe cose vengono di conseguenza, non sono una partenza.

Ho trovato il mio posto, il mio trono, il mio regno quando ho smesso di cercare di essere migliore, quando ho smesso di sforzarmi di mettermi da parte.

Il segreto è l’alleanza con tutte le mie parti, venire a patti con tutte le mie abitanti, quelle baldanzose e quelle titubanti.

Il segreto è soddisfare tutti gli appetiti con i giusti piatti e non confondere il desiderio di uno stato divino con il morso di un panino, con un bicchiere di vino.

Nutrita e benedetta per diritto di nascita, niente mi manca e niente mi impedisce di accendere la vita, di usare solo parole belle, di camminare sorridendo, di offrire il meglio di me al meglio degli altri, anche se loro non lo sanno.

Però, per non sembrare troppo brava e perfettina, vorrei anche ricordare che in primavere si risveglia la kundalina e che appunto una mia parte, quella più birichina, mi ha detto, ascoltando I’m your man ieri mattina, che con uno con la voce di Leonard Cohen ci farebbe volentieri una scopatina.

Allora per stare comoda nei miei panni, salda nei miei intenti, dentro la mia giurisdizione, radicata nella terra con lo sguardo verso il cielo, attenta a non spostare lo sguardo dal mio focus, posizionata nel mio centro, nell’azione senza azione, grata e riverente, aperta ma con garbo, insomma, per tutto questo e molto di più, ho pensato che tutto sommato ci sta anche questa idea che, di primo acchito, potrebbe sembrare non c’entrare con l’aura un po’ speciale che mi voglio disegnare.

Sul confine

La luna è quasi piena
Le nubi nascondono le stelle
È la notte prima di San Lorenzo
A Menton

Ci sarà pure qualche stella impaziente di cadere per i desideri che hanno più urgenza
Ma le stelle cadenti non si possono vedere stasera
Neanche in spiaggia
Lontano dalle luci
Lontano dal festival d’agosto
Così uguale in tutte le città di mare

Il gin tonic non è niente di speciale
Forse non ho scelto il posto giusto
Ma è sul lungomare
E non sottolinea la mancanza di compagnia
La scritta Casino brilla davanti a me
Chissà chi si agita stanotte in cerca di fortuna.

Io sto sul confine della mia pelle e osservo le sfumature
Colgo intuizioni
Nuove storie da raccontare
Immagini dal futuro
Aspetto che la luna riveli qualcosa di importante
Qualcosa di vero
Stanotte è lei la mia curandera.

Speed date (molto speed, poco date)

Scena prima, esterno sera.

Milano, zona Gae Aulenti. Molto social. Folla che aspetta di entrare nel locale distribuita lungo il marciapiede, opportunamente distanziata. Le tre amiche ivi giunte si guardano intorno con sospetto e speranza. Età media troppo bassa, facce da spritz, c’è anche un nano.

Scena seconda, interno sera.

Con trenta minuti di ritardo il palestrato all’ingresso toglie il nastro e comincia a fare entrare, la bella topa mora al suo fianco, taglia 40, coppa 3c, tacco 12, dirige il traffico collegata con entità astratte dall’altra parte dell’Iphone. Avvertono severi: guardaroba obbligatorio, il locale è piccolo e i tavolini sono tutti attaccati, su fa caldo, non vogliono giacche in giro, mascherina on (!!!), timbro sul polso. Le tre amiche, intenzionate a tenersi la giacca, fanno casino con i due regolatori di flussi umani che le trattano da quindicenni. Segue breve consulto a fianco del guardaroba: una starebbe anche perché spera in un One Night Stand, le altre due lamentano grosse falle nell’organizzazione modello carro bestiame e non ci stanno. La maggioranza vince.

Scena terza, esterno sera inoltrata.

Le tre amiche passeggiano leggere lungo corso Como anche se i tacchi messi per l’occasione rendono meno disinvolta l’andatura. Fresche di piega, che col senno di poi sarebbe stato meglio evitare considerato il costo orario del parcheggio e l’aumento della benzina, si dirigono affamate verso un Jappo Tex Mex, senza timbri di sorta. Tra tacos, burrito sushi, hurakami spicy e shot di tequila, chiacchierano, si confidano, ridono di loro, degli uomini, della vita, sentendosi belle così.

Fine.

Tutto sa di libertà

La vita si accende, la vita si infiamma, l’estate ci attende.

Il nuovo tormentone lo sento cantare e a Mille lo voglio ballare. L’ombrellone in riva al mare è il mio, puoi scansare.

I colori sulla tavola all’aperto, il melone fresco, l’anguria dissetante, la bottiglia nel ghiaccio, il pesto con l’aglio…ci vuole un ventaglio!

L’ombra con la frescura degli alberi, le serate con gli amici a fare tardi, il chiacchiericcio, il cicaleggio, il pantalone sudaticcio.

Le belle ragazze coi vestitini fioriti, la pelle un poco abbronzata che tanto male non fa, il bordo piscina per chi sta in città.

Gli occhiali da sole, il cruscotto bollente, il casello alle spalle, si parte, si va.

E in men che non si dica, tutto sa di libertà.

Sensualità

Quello che mi piace lo scopro via via.

Passeggiando con lo sguardo curioso mi accorgo di ciò che è sensuale.

Il colore inaspettato sulla facciata di una casa, che bello.

Il giardino ben curato della villa anni settanta alla fine della strada.

Quella lampada di Kartell nella vetrina del mobiliere.

Il cielo invernale che fa una luce di ghiaccio.

L’Alfa Giulia rossa parcheggiata qui vicino.

Gli addobbi di Natale posati con gusto ed eleganza, ma solo su pochi terrazzi.

Gli scorci dei campi e dei campanili che riportano a come doveva essere tutto ai tempi dei bisnonni.

Il mosaico di foglie secche sul sentiero che accompagna il canale.

Il ragazzo che fa jogging con  quelle belle chiappette sode.

La coppia di anziani che si tiene per mano come gesto di tenero aiuto. Siamo qui, siamo noi, siamo vivi, mi sussurrano mentre li sorpasso.

Quello che mi piace è immaginare le storie dei volti che incrocio.

Immaginare cosa c’è oltre una finestra illuminata, chi ha lasciato il pallone dietro quella siepe, chi si siede ancora su quel dondolo arrugginito in veranda, quanta dedizione ci vuole a far crescere un orto.

La realtà, a ben vedere, è commovente.

Non è banale, né scontato, accorgersi veramente di ciò che esiste.

Anche se dura un solo istante, con quella cosa hai stabilito un contatto per sempre.

L’esistenza talvolta mette i brividi.

Ed è così sensuale lo sguardo guidato dal piacere.

O forse è la vita stessa che si rivela sensuale quando a guidarci nella sua esperienza è il principio del piacere.

Così, nel soddisfare i nostri sensi, l’anima sorride.

Inequivocabilmente Natale

the xmas tree and the sleepy dog

Natale è vicino. Un Natale che annunciano intimo, sobrio. Il mese delle feste, della socialità, degli scambi di affetto, si prefigura dimesso e sottotono.

La mancanza di fisicità e di libertà di spostamento e di incontro porterà, forse, il dono di una maggior presenza a noi stessi e al nostro piccolo mondo. Forse, col volume abbassato, si farà strada la domanda sul senso di questa festa, quello che può avere oggi per noi e ci daremo delle risposte. O forse saremo solo più inclini alla depressione che ci corteggia da mesi. Il rischio c’è, l’esito è incerto.

Stamattina, nel giorno deciso per il rito degli addobbi natalizi, ancora sotto le coperte, io me lo sono chiesta che senso ha ancora il Natale per me,  che senso ha senza l’adrenalina dello shopping e le occasioni di convivialità desiderate o meno. Perché senza una pratica religiosa il Natale rischia di ridursi a quello, che non è neanche del tutto vero perché poi è anche l’occasione per stringersi intorno agli affetti più veri e significativi della propria vita, per ricordarsi da dove si viene e per mostrare ai più giovani che avranno sempre un luogo a cui tornare. E non è poco. E non è abbastanza.

Forse anche per la pioggia fuori e il freddo di una casa con problemi di caldaia ho risposto che per me Natale è la luce ed il calore che irrompono nel buio e freddo inverno, l’immissione di qualcosa di salvifico nel mondo. E’ il ricordo della nostra umanità che si risveglia nel nostro cuore, un’umanità che porta con sé compassione, empatia, gentilezza, amore. Un’umanità che è tale solo se scaldata da un fuoco spirituale che la eleva al di sopra del branco famelico che lotta per la sopravvivenza.

Natale per me è la rinascita ciclica di un bambino, del mio bambino, che guarda incantato il gioco di luci dell’albero nel soggiorno buio e aspetta con trepidazione di scoprire un mattino che i suoi desideri sono stati realizzati e che c’è qualcuno che lo ama nonostante.

Natale per me è l’infanzia, è tutto ciò che di buono dell’infanzia ci portiamo dentro e che è il nostro grande tesoro. E’ il luogo incantato di cui tutti abbiamo almeno una vaga immagine, anche solo come mancanza, anche solo come archetipo, qualunque sia stata l’infanzia che abbiamo vissuto davvero.

Il fare festa è per questo bambino, ma la festa vuole l’abbondanza, lo spreco: non ci sono feste di magro. Il bambino non mette limiti al piacere e chiede ancora, ancora e ancora.

Allora largo al silenzio e all’introspezione per ascoltarlo, ma largo anche alla festa grassa, all’ebbrezza, alla gioia dilagante senza motivo, alla vitalità che possiamo ancora e sempre esprimere.

Anche in questo strano Natale di assenze e lontananze ci sarà il modo per sentirci inequivocabilmente e meravigliosamente vivi, vivi con i vivi e vivi con i morti.

 “Non c’è niente di più triste in questo mondo che svegliarsi la mattina di Natale e non essere un bambino” (Erma Bombeck)

Compleanni

Una passa gran parte dell’esistenza a sentirsi in credito con la vita e a vantare pretese,

poi passa un’altra buona parte della vita a chiudere le sue ferite e a trovare il modo di riscrivere la sua storia,

poi una mattina di fine agosto, all’avvicinarsi del suo nuovo anno, si accorge che non potrà mai ringraziare abbastanza la vita per tutti i doni che ha ricevuto.

E le viene da ridere per tutte le volte che ha avuto paura e per tutte le volte che non si è fidata e sa che domani cadrà ancora in qualche baratro, ma sempre di meno.

E si accorge che il tempo è la misura delle trasformazioni e che può giocare con se stessa bambina,  ragazza, e anziana , coi vivi e con i morti, in un tempo senza tempo.

E i vivi e i morti che l’accompagnano sono parte di questi doni,  e si sente infinitamente grata per tutto il bene che c’è, anche per quello che ancora è incapace di vedere.

E sente l’impellente bisogno di ringraziare  tutti coloro che illuminano i suoi giorni, nonostante sia spesso cieca e incapace di ricompensare adeguatamente tutti quanti:

la madre e il padre,

il fratello e la sorella,

i figli e i nipoti ,

e tutti i famigliari presenti e non più presenti,

le amiche e gli amici tutti,

ogni maestro, ogni mentore, ogni sostenitore,

gli amori mai iniziati, mai finiti e quelli ancora da venire.

Grazie

Sono solo calzini

Ho appaiato già tutti i calzini.

Ma quanti ne cambiano al giorno?

Ce ne saranno stati più di dieci paia in una sola lavatrice.

Oramai li divido a caso nei loro cassetti.

Ultimamente glieli compero tutti uguali,

così per me è più facile.

I calzini sono una rottura di scatole,

ce n’è sempre qualcuno che rimane da solo,

fino al prossimo lavaggio,

fino a che non ne trovi uno sotto le lenzuola,

o sul fondo della borsa della palestra,

o in certi posti impensabili.

E’ bello quando ne ritrovi uno che era scomparso.

Perché puoi ricomporre qualcosa che si era spezzato,

perché ritorna un certo ordine che si era perso.

Ci sono anche quelli che si perdono per sempre,

sparizioni misteriose senza soluzione.

Io penso che dopo un po’ si decompongano sotto i letti

e diventino polvere, indignati da tanto oblio.

Venti anni di calzini passando per tutti i numeri fino al 46,

moltiplicati per due,

fanno migliaia di volte di un gesto ripetuto distrattamente,

a volte con fastidio, di fretta o con la stanchezza di altro addosso.

Oggi un’amica ha perso un figlio.

Non pensavo di riuscire a scriverlo.

Oggi, fiaccata dal dolore,

la nuova fila di calzini appena stesi

mi sembra avere tutta un’altra luce.

Ritrovamenti

blue-2705642_1920

A casa sola,

mattino presto.

Temporale insistente,

cane agitato.

Mi godo il fresco in sottoveste.

In questo strano luglio,

di lavoro e di mare,

di assenze e presenze,

di nuovi entusiasmanti desideri,

di chiare visioni

su ciò che voglio,

mi sento circondata d’amore.

Ben ritrovata,

la coppia che mi ha generata

mi regge e mi guida,

fianco sinistro e fianco destro sorretti,

cammino a testa alta nel mondo.

Sono una donna fortunata.

Se Questa è Vita

desert-1358480_1920

E sì che ero partita molto bene: poesia, meditazione, ginnastica, lettura, scrittura, pulizie, riordini, smartworking, telefonate agli amici che non sentivo da tanto, bei film, pochi tg, ero riuscita persino a mettermi a dieta.

Poi sono cominciati dei giorni di morale a terra e di apatia. E allora vai di Rodiola che è tonica e antidepressiva. E quindi sì, mi sono detta, ce la posso fare.

Ma adesso?

Adesso che è iniziata la fase due mi ritrovo ad avere meno voglia di uscire in un mondo che stento a riconoscere e che non mi emoziona.  Spazi, oggetti, superfici, vestiti e corpi da sanificare in continuazione, corpi che non possono vibrare della vicinanza, ma solo inaridirsi nel distanziamento. Respiri affannati dietro mascherine appiccicose.

Da due settimane non mi alleno e la dieta l’ho abbandonata ancor prima. Medito a giorni alterni e a fatica. La passeggiata col cane sta diventando sempre più corta e anche la meraviglia della primavera e dei suoi profumi è diventata una magra consolazione. Certo, la Natura è sempre un rifugio e una medicina, ma vorrei una civiltà da cui scappare. Lavoro con la frustrazione di dover rimandare ad un futuro non ben precisato la raccolta dei primi frutti, ma almeno qui c’è un po’ di presenza ancora. E con presenza scrivo, per non lasciare ai pensieri involuti l’ultima parola.  Garantisco spesa,  cucina, pulizie, lavatrici e tutti gli annessi e connessi in una routine nauseante e solitaria. Tutto procede…senza godimento.

Che mi succede? E’ forse un malessere sottile e strisciante che si sta facendo sentire? E quanto fastidio mi dà con tutti gli strumenti che possiedo per gestire la situazione?

E’ che il malessere se c’è ha un suo senso e occorre tenerselo finché non ha esaurito la sua funzione. Accoglierlo, non combatterlo. Darsi il tempo per conoscerlo e farlo diventare amico, dialogare con lui, interrogarlo.

Allora gli ho dato un nome e l’ho chiamato “se questa è vita”, il primo nome che mi è venuto in mente. E ho cominciato a chiamarlo e lui piano piano sì è aperto e si è rivelato per quello che è. C’è voluto qualche giorno e adesso che lo conosco un po’ meglio non sono sollevata, anzi. Perché lo stronzetto comincia a rispondermi in modo arrogante con sempre nuove e insinuanti domande e adesso vuol saper lui da me che vita voglio.  Oh, ma sarai mica venuto qui per mettere in  discussione le mie poche e preziose certezze? Che di questi tempi occorre stare aggrappati al salvagente pur se un po’ sgonfio. Ma lui sembra indifferente alle mie preoccupazioni e con lo spuntone sferra il colpo decisivo alla tenuta della ciambella. Ecco: che fare? Dimenarsi per stare a galla e tentare di raggiungere una riva qualsiasi o rilassarsi e farsi trasportare dalla corrente? Per una volta provo la seconda che ho detto.

E in questo galleggiare ho cominciato a comprendere un po’ dove si annida questo malessere. Sta nello spazio inaridito di ciò che mi manca.

Mi manca la pelle di un altro, l’abbraccio sudato alla fine di un ballo, l’essere abbastanza vicini da sentirsi il respiro, ascoltare musica dal vivo in locali affollati, sperare di trovare un posto a sedere sul treno dopo un giorno di lavoro, il rito del farsi bella per un’uscita serale, la possibilità di flirtare, progettare una vacanza, la folla di variegata umanità nelle vie dello shopping,non sapere cosa ordinare al ristorante perché vorrei provare tutto,  l’opulenza dei bar di Milano all’ora del pranzo o dell’aperitivo,  le strette di mano, il toccare eroticamente nei negozi tutti i libri e i vestiti che poi non comprerò e qualcos’altro che  tengo per me.

Ritrovo allora un fondo di gioia perché nello sconforto delle piccole cose rimaste “se questa è vita” è arrivato a ricordarmi che la Vita è tale se ci sono anche le bollicine, che la Vita non può essere piccola e mi mette in guardia dall’accontentarmi. E come in un processo alchemico, tutto ciò che in questo momento ha colore di piombo si illumina della polvere dorata del desiderio. Evviva allora l’abbondanza dei desideri che muovono la storia, costruttori di ponti dal presente al futuro. 

Così alla fine, per placare “se questa è vita”, costruisco un altare a Eros e prego che il serpente assopito nei luoghi indicibili del mio corpo si risvegli. Amen.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: