
Sabato pomeriggio, interno luminoso, fuori sole e vento. Sento arrivare un lamento.
Ecco, nessuno mi consola, mi sento così sola, la mia vita è una sòla.
Allora, non senza una certa urgenza, mi do udienza e scopro di aver bisogno di clemenza, di un poco di sosta nella stanza, di tempo vuoto, senza arroganza.
Lascio le borse del super dentro lo sgabuzzino, lascio per la casa il solito casino, mi guardo bene pure dal fare yoga sul tappetino.
E presa la decisione, più nessuna confusione, inizio la ri-creazione.
Sprofondata sul divano, cerco qualcosa da cercare, ma invano, perché ho tutto a portata di mano.
Quel che mi serve in questo momento infatti è stare un poco col mio lamento e un poco col mio tormento e farne un buon sentimento.
Lasciare trapelare quanto basta lo sconforto per un giorno contorto, lasciare trapassare da dentro a fuori quel sentirsi sempre in fieri, lasciare tutti quei “non so” fiorire, senza arrossire.
Che a volte ci vuole avere orecchio, e anche parecchio, per mutare la stanchezza in una semplice carezza, la pigrizia in pura grazia, l’attesa in dolce resa.
E per soddisfare, per me per prima, il mio bisogno di rima.