Blog Spot

Evviva la promo!!!!

Per donne inquiete, per uomini coraggiosi… Per tutti noi esseri meravigliosi, unici e poderosi.

Parlare di Natale (ovvero il pippone che non può mancare)

È arrivato dicembre con il suo carico di freddo e con la sua promessa di luce e di cose buone.

È arrivato dicembre, la speranza di neve nei giorni di festa, gli alberi spogli, gli alberi da vestire, le case da scaldare.

A dicembre si dovrebbe stare in casa con la coperta calda a portata di mano e qualcosa di fumante da bere. Si dovrebbe stare per lo più in silenzio a guardarsi dentro per fare spazio ed accarezzarsi il cuore.

E uscire solo muniti di sorrisi e di parole buone. Parole come canti, leggere come soffi, nate dal silenzio, pronunciate con misura, quasi sottovoce.

Chi non c’è mi manca ancor di più e a tavola si tiene il posto per i propri fantasmi. Io ho le zie dal cuore grande, il nonno che mi raccontava la storia di Babbo Natale in elicottero, che la slitta era cosa d’altri tempi. Il papà che riempiva le calze appese al camino di frutta secca e mandarini, la mamma che con amore dava il meglio di sé in cucina, era quello il suo regalo più grande.

Dicembre è una danza di fantasmi e di ricordi, di storie belle da raccontare, di malinconie da gestire.

È il momento propizio per onorare la propria discendenza e riconoscere la fonte di amore che ci ha partorito, e che si è degni di oro, incenso e mirra e che c’è sempre una stella che brilla dove siamo noi.

Banalità? È facile essere scontati a dicembre, parlare per frasi fatte, abusare di belle parole, elargire auguri senza emozione. E’ facile restare sulla superficie e ripetere in automatico gesti e situazioni. E sprecare una delle poche occasioni che ci sono rimaste per contattare la profondità della terra che riposa nel freddo, del buio che ci avvolge in attesa di essere nuovamente illuminato, per meravigliarsi della forza del seme, dell’abbondanza dei doni.

Perché tutta la cosiddetta realtà a ben guardarla è simbolo e dicembre ci invita con forza ad entrare nei simboli che porta con sé. Non è faccenda religiosa, è faccenda spirituale. La festa di dicembre è la festa dello Spirito che informa la Materia di Amore. Qualcuno parla di magia, qualcun altro di termodinamica, in molti non ne parlano neanche più.

A me piace ancora parlare di Natale.

Attitudini che evolvono

Accettare che le cose possano essere semplici.

Scegliere la via con minor resistenza.

Applicarsi con dedizione, ma senza sforzo.

Usare solo i muscoli che servono per quel preciso movimento.

Essere pronti al momento giusto, per il resto farsi trovare impreparati.

Fermare l’impulso a dire necessariamente qualcosa.

Fare di meno, lasciar fare di più e uscirne comunque vivi.

Se ancora non si riesce ad ammettere di non sapere, almeno fare finta.

Saper dire basta oltre a un tot di devo, saper dire ancora a tutti i mi piace.

Sciogliere voti, promesse, lacci e lacciuoli anche se hanno il fiocco.

Prendersi del tempo per le cose inutili e belle.

Declassare ciò che resiste da decenni in cima all’hit parade.

Sbufalare tutto ciò in cui si crede per abitudine.

Ascoltare con distaccata ironia ciò che ci si racconta.

Permettersi, finalmente, di ricevere tutti quei “sì” che aspettano in coda di raggiungerci.

D’un tratto, a Milano.

Dieci chilometri , quindicimila passi, oggi Milano è stata mia ed io sono stata sua. Ci siamo specchiate, annusate, corteggiate. Ognuna ha recitato la sua parte.

Il respiro dei palazzi, il dico e non dico dei portinai, la borghesa altezzosa al guinzaglio del cane. I cortili che non ti aspetti, gli angoli fioriti, i dettagli di lusso di un androne, la visione periferica delle cose che puoi permetterti mentre cammini. A volte guardi all’insù, persino.

E poi le vie del centro centro, quelle strette, eleganti, con le botteghe vere al posto delle catene e dei grandi marchi dei non luoghi tutti uguali. Persone laboriose, in movimento, in ritardo. Qualcuna visibilmente impegnata ad apparire, mentre quelle che contano davvero non appaiono mai.

Ed io mettevo un piede avanti all’altro con andatura da guerriera, a caccia di opportunità, decidendo di sorridere tra me e me. Finché, d’un tratto, sotto un sole di quasi primavera, ho sentito cos’è in pratica la resa attiva e perché lo yoga serve alla vita e perché serve l’arte e un tango e anche pregare. E mi sembrava di essere molto più ricca e di sapere solo io il segreto della vita e di trasmettere una luce, come fossi una regina.

L’eternità si vive nel presente, non è di là del tempo. La perfezione di un attimo esiste, è cosa esperienziale, è  gioia esistenziale. Ed è bello che accada così, che arrivi da altri mondi all’improvviso, a darti l’entusiasmo, magari proprio come oggi, nel cuore di Milano, in mezzo a tanti indaffarati e ombrosi sconosciuti.

E non so se qualcuno si è accorto, d’un tratto, di un’aliena per la via, in giro a lavorare, che camminava col sorriso.

Resistenze e attaccamenti

Vento fresco stamattina, preludio di fine estate, farò fatica ad abbandonare la stagione più vitale.

Sì, lo ammetto, resisterò. Cercherò di ritardare il cambio armadio e l’avvento del piumone, di scansare i collant nel cassetto della biancheria assieme alla maglia della salute. Aspetterò proprio la fine per raccogliere il basilico e preparare l’ultimo pesto, quello che mi porterà sentimentalmente indietro ancora di qualche giorno, là dove affonderò le unghie, anche solo per un istante.

Non rinuncerò così facilmente e con leggerezza alle luce che inonda l’appartamento e ai momenti vacui e languidi sprofondata sul divano, in attesa di una brezza serale che ripaghi di tutte le gocce di sudore versate. Così, sarò sicuramente inversa e intrattabile per qualche tempo.

Fino al ventidue settembre permettetemi ancora di desiderare una doccia fresca, un amore estivo, un ballo sotto il pergolato che risplende di luci colorate, una cena davanti al mare, i sapori del mediterraneo sulla tavola e una scusa per non fare niente.

Poi lascerò che accada l’autunno con la sua esplosione di colori, con le camminate sulle foglie secche crepitanti e odorose, con la dolce zucca, le calde zuppe e la voglia di nido.

Il passaggio dal fuoco al focolare non sarà indolore, troverò chi mi consoli.

I 50 sono i nuovi 30

Sarà che il pandemico trascorso da lì pareva assai irreale

Sarà che siamo tornati tutti indietro di vent’anni, leggeri e senza affanni

Sarà che gli Spritz pomeridiani a bordo piscina ci han fatto un po’ smollare

Sarà che non poteva che seguire con la cena, dei Lugana, una chitarra e bella ciao a voce piena

Sarà che lo stadio era pieno e non mancava proprio nessuno di quelli che dovevano

Sarà che siamo invecchiati bene, come dice un testimone

Sarà che siamo un po’ gli stessi di sempre e questa volta è per vantarsi

Sarà che è vero che il tempo è nella mente, ma che il cuore non ne sa niente

Sarà l’effetto di euforia, ma stavo bene

Sarò che ci vedevo belli e goffi in questo amarcord di giovinezza, tentativo riuscito, siamo bravi a barare

Sarà che ci vedevo anche piuttosto esperti nel dissimulare l’inquietudine che talvolta ci assale

Sarà che così è, e tanto vale.

E poi… Woman no cry….

Il mio modo

La gioia dell’essere io la conosco.

Prendo per mano una bambina che voleva solo ballare.

Andiamo in cerca di una voce che ci dica “non c’è niente di cui avere paura”.

Ne abbiamo fatta di strada assieme, affrontato pericoli, vissuto drammi, saltato nelle pozzanghere, cantato a squarciagola, pianto, riso tanto.

Eppure non ci sentiamo ancora paghe di vita, solo vorremmo sentirci un po’ al sicuro, da adesso in poi, vorremmo una casa a cui voler tornare serene, un solido conto in banca, un luogo (due braccia) dove abbassare la guardia.

Però la gioia dell’essere io la conosco: è un’altra bambina che prendo per mano, quella che esiste da quando tutto era intero.

Non ha bisogno di nulla, tanto meno di rassicurazioni. E’ lei la mia fonte di pace, è lei che fa sorridere il mio cuore. Mi dice: “vedi come è facile il piacere e dire ancora, ancora e ancora?” Sì, rispondo io, facile come rubare una coscia di pollo arrostito e scappare sul dondolo a mangiarla, come saltare i fossi con la bici, come affondare denti e labbra nei pomodori dell’orto appena raccolti, come i viaggi verso il mare.

E così, seria e contratta solo per abitudine, ma non più per convinzione, cammino tra desolazione e consolazione, trovando il mio modo.

Languire e Fiorire

Languishing la chiamano, sembra che sia l’emozione dominante dopo più di un anno di pandemia secondo quanto riportato da un articolo dello psicologo Adam Grant apparso recentemente sul NYT. Languire, essere senza gioia e senza scopo. Non hai disagi psichici ma non stai neanche bene, semplicemente sei off, non brilli, non prosperi.

Se questo sarà, il futuro non si prospetta granché. L’idea di essere circondata da persone spente che neanche sanno di esserlo e magari di esserci dentro io stessa a mia insaputa, mi inquieta.

Non che fosse così diffusa la capacità di brillare anche in tempi pre-pandemici, ma forse ci si dava scopi e motivazioni con più facilità e leggerezza, anche solo sognare sembrava un diritto garantito a tutti. E comunque si poteva, con un minimo di scaltrezza, individuare i depressi, i disperati, gli esauriti e decidere se averci a che fare o no.

Ma col languore è tutto più sfumato, sottile, opaco. Non stai bene e non stai male, non stai su di giri, ma neanche così tanto giù. Semplicemente stai e ti trascini nella vita senza entusiasmi, senza picchi, senza che momenti dionisiaci possano irrompere e aggiungere Vita alla vita e permettere di espandere il tuo essere o almeno di immaginare di poterlo fare.

Certo languire può anche essere una bella tentazione, una sorta di difesa anche comprensibile per attraversare questi tempi strani e complessi, incerti e insidiosi, forse anche pieni di spaventi.

Però voglio mettermi in guardia perché ancora ambisco a fare parte della schiera degli umani che aspirano alla gioia e non solo a non essere scontenti. Una nicchia, forse, ma da proteggere per il bene stesso del genere umano. Una nicchia portatrice dell’antidoto contro l’estinzione della nostra stessa specie, un’estinzione non tanto fisica quanto psicologica.

Perché la vita non è solo esistere, ma è anche e soprattutto fiorire. Essere floridi, evolvere e divenire incessantemente come gli alberi, dovrebbe essere il primo dovere di ogni donna e di ogni uomo. Chiedere come stai non ha più molto senso, le risposte sono quasi sempre molto superficiali e poco compromettenti. Bisognerebbe chiedere e chiederci continuamente: stai fiorendo?

Sensualità

Quello che mi piace lo scopro via via.

Passeggiando con lo sguardo curioso mi accorgo di ciò che è sensuale.

Il colore inaspettato sulla facciata di una casa, che bello.

Il giardino ben curato della villa anni settanta alla fine della strada.

Quella lampada di Kartell nella vetrina del mobiliere.

Il cielo invernale che fa una luce di ghiaccio.

L’Alfa Giulia rossa parcheggiata qui vicino.

Gli addobbi di Natale posati con gusto ed eleganza, ma solo su pochi terrazzi.

Gli scorci dei campi e dei campanili che riportano a come doveva essere tutto ai tempi dei bisnonni.

Il mosaico di foglie secche sul sentiero che accompagna il canale.

Il ragazzo che fa jogging con  quelle belle chiappette sode.

La coppia di anziani che si tiene per mano come gesto di tenero aiuto. Siamo qui, siamo noi, siamo vivi, mi sussurrano mentre li sorpasso.

Quello che mi piace è immaginare le storie dei volti che incrocio.

Immaginare cosa c’è oltre una finestra illuminata, chi ha lasciato il pallone dietro quella siepe, chi si siede ancora su quel dondolo arrugginito in veranda, quanta dedizione ci vuole a far crescere un orto.

La realtà, a ben vedere, è commovente.

Non è banale, né scontato, accorgersi veramente di ciò che esiste.

Anche se dura un solo istante, con quella cosa hai stabilito un contatto per sempre.

L’esistenza talvolta mette i brividi.

Ed è così sensuale lo sguardo guidato dal piacere.

O forse è la vita stessa che si rivela sensuale quando a guidarci nella sua esperienza è il principio del piacere.

Così, nel soddisfare i nostri sensi, l’anima sorride.

Quello che ci vuole

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è kid-1540849_1920.jpg
“La nostra vita non è determinata tanto dalla nostra infanzia, quanto dal modo in cui abbiamo imparato a immaginarla.” (James Hillman)

Guardo i miei figli e mi ritrovo ad avere pensieri da signora di mezza età. Curiosa di vedere che sembianze prenderemo tutti noi nei tempi a venire, mi sento allo stesso tempo preda della nostalgia del tempo magico dell’infanzia, quando le risate erano a crepapelle, i pianti tragici e definitivi e le paure passavano con una notte nel lettone.

E il ricordo di loro bambini mi sembra tutto ciò che ho di loro, tutto ciò che ha valore e spessore, adesso che sono così sfuggenti, prepotenti, altezzosi, maschi ventenni. E il ricordo di me bambina e di tutte le me passate mi fa vivere stati d’animo diversi: meraviglia, incredulità, indulgenza, distacco, compassione, ammirazione. Dovrebbero condannare la funzionalità “riscopri questo giorno” di Google Foto per procurata malinconia colposa. Ma in fondo, che male c’è ogni tanto a crogiolarsi nello story telling del tempo beato che fu?

Resteranno allora le immagini fantasmatiche dei Natali passati a ricordarci chi eravamo e quanto amore c’era, a mostrarci quanto siamo cresciuti e quanto siamo invecchiati. E con loro emergeranno i rimpianti per cui ci perdoneremo, perché è l’unica cosa che possiamo fare. Le frasi non dette, i baci schivati, gli abbracci mendicati saranno il nostro tesoro perduto, gesti incompiuti in attesa di una resa.

Eccomi qui con il bicchiere di vino in mano a contemplare l’enormità di questa nostra avventura, di questo legame per la vita, a brindare per il coraggio che ci vuole per uscire dal porto, ma anche per restare a guardare e a salutare senza fare drammi. Forse però non sono così pronta a disfare il nido ed è tempo che io lo diventi, è tempo che io prepari il sentiero interiore per questo passaggio. Ora ci sono quasi solo io e la più bella versione di me ancora da scrivere. Ma tutti abbiamo il nostro gran bel da fare, mes amis, finché ci incontreremo di nuovo e nuovi sull’altra riva. E una dose extra di fiducia è quello che ci vuole, se proprio devo chiedere qualcosa. E che lo sguardo sia indulgente e che l’infanzia sia con noi, sempre.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: