Parlare di Natale (ovvero il pippone che non può mancare)

È arrivato dicembre con il suo carico di freddo e con la sua promessa di luce e di cose buone.

È arrivato dicembre, la speranza di neve nei giorni di festa, gli alberi spogli, gli alberi da vestire, le case da scaldare.

A dicembre si dovrebbe stare in casa con la coperta calda a portata di mano e qualcosa di fumante da bere. Si dovrebbe stare per lo più in silenzio a guardarsi dentro per fare spazio ed accarezzarsi il cuore.

E uscire solo muniti di sorrisi e di parole buone. Parole come canti, leggere come soffi, nate dal silenzio, pronunciate con misura, quasi sottovoce.

Chi non c’è mi manca ancor di più e a tavola si tiene il posto per i propri fantasmi. Io ho le zie dal cuore grande, il nonno che mi raccontava la storia di Babbo Natale in elicottero, che la slitta era cosa d’altri tempi. Il papà che riempiva le calze appese al camino di frutta secca e mandarini, la mamma che con amore dava il meglio di sé in cucina, era quello il suo regalo più grande.

Dicembre è una danza di fantasmi e di ricordi, di storie belle da raccontare, di malinconie da gestire.

È il momento propizio per onorare la propria discendenza e riconoscere la fonte di amore che ci ha partorito, e che si è degni di oro, incenso e mirra e che c’è sempre una stella che brilla dove siamo noi.

Banalità? È facile essere scontati a dicembre, parlare per frasi fatte, abusare di belle parole, elargire auguri senza emozione. E’ facile restare sulla superficie e ripetere in automatico gesti e situazioni. E sprecare una delle poche occasioni che ci sono rimaste per contattare la profondità della terra che riposa nel freddo, del buio che ci avvolge in attesa di essere nuovamente illuminato, per meravigliarsi della forza del seme, dell’abbondanza dei doni.

Perché tutta la cosiddetta realtà a ben guardarla è simbolo e dicembre ci invita con forza ad entrare nei simboli che porta con sé. Non è faccenda religiosa, è faccenda spirituale. La festa di dicembre è la festa dello Spirito che informa la Materia di Amore. Qualcuno parla di magia, qualcun altro di termodinamica, in molti non ne parlano neanche più.

A me piace ancora parlare di Natale.

Quello che ci vuole

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“La nostra vita non è determinata tanto dalla nostra infanzia, quanto dal modo in cui abbiamo imparato a immaginarla.” (James Hillman)

Guardo i miei figli e mi ritrovo ad avere pensieri da signora di mezza età. Curiosa di vedere che sembianze prenderemo tutti noi nei tempi a venire, mi sento allo stesso tempo preda della nostalgia del tempo magico dell’infanzia, quando le risate erano a crepapelle, i pianti tragici e definitivi e le paure passavano con una notte nel lettone.

E il ricordo di loro bambini mi sembra tutto ciò che ho di loro, tutto ciò che ha valore e spessore, adesso che sono così sfuggenti, prepotenti, altezzosi, maschi ventenni. E il ricordo di me bambina e di tutte le me passate mi fa vivere stati d’animo diversi: meraviglia, incredulità, indulgenza, distacco, compassione, ammirazione. Dovrebbero condannare la funzionalità “riscopri questo giorno” di Google Foto per procurata malinconia colposa. Ma in fondo, che male c’è ogni tanto a crogiolarsi nello story telling del tempo beato che fu?

Resteranno allora le immagini fantasmatiche dei Natali passati a ricordarci chi eravamo e quanto amore c’era, a mostrarci quanto siamo cresciuti e quanto siamo invecchiati. E con loro emergeranno i rimpianti per cui ci perdoneremo, perché è l’unica cosa che possiamo fare. Le frasi non dette, i baci schivati, gli abbracci mendicati saranno il nostro tesoro perduto, gesti incompiuti in attesa di una resa.

Eccomi qui con il bicchiere di vino in mano a contemplare l’enormità di questa nostra avventura, di questo legame per la vita, a brindare per il coraggio che ci vuole per uscire dal porto, ma anche per restare a guardare e a salutare senza fare drammi. Forse però non sono così pronta a disfare il nido ed è tempo che io lo diventi, è tempo che io prepari il sentiero interiore per questo passaggio. Ora ci sono quasi solo io e la più bella versione di me ancora da scrivere. Ma tutti abbiamo il nostro gran bel da fare, mes amis, finché ci incontreremo di nuovo e nuovi sull’altra riva. E una dose extra di fiducia è quello che ci vuole, se proprio devo chiedere qualcosa. E che lo sguardo sia indulgente e che l’infanzia sia con noi, sempre.

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