Lettera non spedita al padre dei miei figli ovvero mamma fa bilanci di momenti belli/brutti ovvero del sacrificio perfetto

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Caro A.,

inizia un nuovo anno scolastico, iniziano nuove sfide, la terza liceo per uno, il primo anno di università per l’altro. Per entrambi si tratta di imparare a giocare ad un livello più alto. E  io, che ancora non riesco a trovare modi di dire e di fare che corrispondano al mio sentire più autentico e umano di  fronte alla bellezza di questi uomini in divenire, sono qui che vado avanti per tentativi, peraltro il più delle volte goffi .

E’ che esteriormente tutto di loro mi irrita, tutto di loro va in contrasto con il mio bisogno di ordine, con il mio bisogno di efficienza, con il mio bisogno di rispetto, di cooperazione  e di riconoscimento. Ma è così, mi sento insufficiente e di poca fede. Però mi sento anche profondamente innamorata di loro in quanto esseri che si attualizzano, con tutte le possibilità di forma che potranno prendere e che potranno dare alla loro vita.

E così, in questo momento in cui sento il peso tra capo e collo e spalle di questa maternità solitaria anche se non sconsolata, mi sono venute in mente alcune cose che io so e che tu non sai e che vorrei dirti.

Ma ci sono anche alcune cose che non ti dirò e voglio partire da queste.

Non ti dirò del tempo, dell’energia, della testa, delle ansie che in questi anni ho investito nella relazione con i figli. Non ti  dirò cosa vuol dire organizzare  la propria esistenza sempre sulla base della loro.

Non ti dirò delle giornate e nottate di malattia. Non ti dirò delle ore di minibasket in palestra o dei km percorsi per raggiungere improbabili campi da calcio nei luoghi più sperduti di Lombardia e del freddo ghiaccio preso durante le partite.

Non ti dirò delle ore impegnate in visite mediche e terapie varie, dei colloqui e delle riunioni a scuola, delle feste di compleanno nei vari giocalandia della zona, delle vestizioni complicate prima delle lezioni di sci . Non ti dirò cosa vuol dire pensare a tre pranzi ogni giorno, garantire ordine e pulizia, accompagnarli a comprare scarpe e vestiti.

Non ti dirò cosa vuol dire mediare, leccare le ferite, sentirsi invasa dalla loro rabbia, dover sollevare gli spiriti abbattuti, trovare proposte adeguate e le migliori soluzioni. Non ti dirò cosa vuol dire fare da coach, da mister, da carabiniere, da agente 007, da professore, da autista, da comandante sempre sul filo dall’essere ammutinato.

Non ti dirò cosa vuol dire sentirsi fare domande che non hanno risposta, richieste impossibili, scenate capricciose. Non ti dirò cosa vuol dire stare in casa quando si ha voglia di uscire, dovere pensare sempre ad una loro sistemazione loro, prima di tutto, prima di sé.

Questo e  altro ancora non ti dirò.

Ti dirò soltanto che ti ringrazio perché, fossero anche solo stati loro il motivo della nostra unione, ne è valsa la pena. Ti dirò soltanto che è bello amarli e vederli crescere e immaginarli uomini e che stargli accanto è un privilegio.

Ti dirò soltanto e che questo privilegio non è gratis, ne pago il prezzo, ed è qualcosa da considerare.

Ti dirò soltanto  che io c’ero quella volta che F. ci ha creduto e ha fatto il canestro decisivo all’ultimo secondo e ha portato la squadra ai Gold e che io c’ero quella volta in cui,  da qualche parte sopra Varese,   al mattino presto con un freddo cane,  G.  ha fatto la sua più bella partita di sempre e che era lui con tutto se stesso e con tutta la sua luce.

Ti dirò soltanto che se a volte ho desiderato più libertà e mi sono sentita frustrata era perché ero io a pensarmi in catene e a credermi incompleta.

Alla fine rimane solo il valore di ciò che facciamo con amore. E con amore raccoglierò per la milionesima volta dal pavimento della cameretta il calzino spaiato, piegherò una mutanda, soffrirò ad una partita, comprerò salsicce, farò finta di non vedere e di non sapere cose che è meglio non vedere e non sapere. E con amore comincerò a staccarmi da loro ritrovando me stessa sotto le rovine della maternità per suonare le campane che ancora possono essere suonate.

“Ring the bells that still can ring. Forget your perfect offering. There is a crack in everything, that’s how the light gets in” (L. Cohen)

Con amore,

G.

La Polizza Contro I Danni Della Vita

 

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Chiedo i danni alla vita,

una sorta di risarcimento

per tutto ciò che mi procura risentimento.

Per i genitori poco modello,

una sempre un po’ bambina,

l’altro scomparso sul più bello.

Per gli uomini di poco impegno,

che mi han tradita

dopo aver preso il mio sostegno.

Per i figli che non mi sanno ascoltare,

non fanno i bravi soldatini,

e mi lasciano sempre i letti da rifare.

Per i miei avi andati in fallimento,

che per inseguire i loro capricci

non hanno lasciato neanche un appartamento.

Per il mondo là fuori,

che per come è disattento,

non vede neanche il mio talento.

Per tutti quelli che hanno bisogno dei miei consulti,

e invece continuano a girare in tondo

senza sapere  di essere poco evoluti.

Chiedo infine di essere risarcita perché,

nonostante tutti gli sforzi,

non mi sento abbastanza capita.

 

E così faccio la vittima sacrificale,

ma mi sta venendo a noia

tutto questo elemosinare.

Per fortuna mi si fa notare che,

stando io in questo momento anche solo respirando,

la Vita mi sta già ripagando.

E allora, quando mi capiterà di sentirmi abusata,

proverò a dire scusa, stavo scherzando

e  finirò tutto con una bella risata.

La quale è senza esitazione,

in ogni tempo, luogo e situazione,

la più utile forma di assicurazione.

 

Amore in…condizionale.

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Se è il mio amore posso farne ciò che voglio.

Se è il mio amore posso amarti anche se tu non  mi ami.

Se è il mio amore non dipendo.

Se è il mio amore posso amare in cambio di niente, è questa la sua forza e il suo scandalo.

Se è il mio amore non finisce.

Se è il mio amore può nascondersi, ma non perdersi.

Se è il mio amore non ho bisogno di permessi speciali.

Se è il mio amore se ne frega della ragionevolezza.

Se è il mio amore posso trovarlo in ognuna delle mie notti.

Perché se è  il mio amore, allora non sarò mai senza amore.

Grazie, mio amore.

La danza delle parti

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La Vittima danza con il Carnefice,

il Tradito danza con il  Traditore.

Tutti si ringraziano a vicenda prima di scomparire.

La Felicità danza con la Tristezza per esprimere la gioia essenziale dell’essere.

L’Ombra, danzando con la Luce, si dissolve e le cede tutto il suo potere.

La Vita danza con la Morte senza fare trapelare neanche una sillaba del loro mistero.

La Donna danza con l’Uomo:

“Proteggerai la mia sensibilità e non permetterai a nessuno di sopraffarmi”, dice lei.

“Donerai grazia ad ogni mio gesto e mi aiuterai a contemplare la meraviglia del cosmo”, dice lui.

E così, come il Mare incontra la Terra in una danza sempiterna e mai uguale,

tutto si compenetra armonicamente, anche quando non sembra!

Genitore compulsivo vs Adolescente cannibale

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C’è una ossessivo-compulsività del ruolo genitoriale, ne sono certa. E’ quel dover ripetere ogni giorno, per più volte al giorno, frasi di significato non ambiguo, anche banali, generalmente brevi, spesso accompagnate da inutili minacce, che descrivono gesti puntuali che si richiede debbano essere compiuti da figli per lo più adolescenti.

Fai i compiti /studia / sistema la tua camera/ svuota la borsa del calcio/fai il tuo letto/ sparecchia/ raccogli  i vestiti / svegliati che è tardi/non guardare il telefono a tavola/ sistema il bagno dopo la doccia/lava i denti… sono solo un elenco non esaustivo di frasi ossessivamente ripetute e che, se prese singolarmente e rilette al contrario, sono tutte in grado di trasformare chiunque le pronunci in una statua di sale con espressione annichilita, che al confronto l’urlo di Munch sembra la faccia di Winnie the Pooh.

I toni usati possono variare dal basso e dolce fino all’urlato rabbioso, cui corrisponde un graduale ingrossamento dell’organo emuntore, o fegato, del pronunciante, mentre i gesti  possono essere molto teatrali, tipo porte sbattute, vestiti buttati per aria, brusco spegnimento del router, ecc…, che servono generalmente a evitare l’unico gesto che sarebbe veramente adeguato alla situazione, senonché passibile di denuncia penale: la presa a mazzate del minore oggetto dell’ira genitoriale.

E mentre sei lì che cerchi di trattenere l’hooligan che vive in te visualizzando prati fioriti, ti passano davanti in un istante tutti i momenti che gli hai dedicato leggendo fiabe, giocando con le tempere, la farina, i fagioli, la pasta di sale, accompagnandolo in piscina sudando liquidi vitali in spogliatoi umidi e puzzolenti o facendogli da sherpa sulle piste da sci. E ti penti di non aver impiegato quel tempo dall’estetista o a stordirti di Campari.

Ma perché questo reiterare un comportamento assolutamente improduttivo che ti fa passare per imbecille? Forse perché è una dipendenza, come se fare il genitore fosse quella roba lì, perché non sai cosa altro fare, perché vorresti che il mostro fosse ancora il tuo cucciolo o che fosse già in carriera o alla meno peggio semplicemente già fuori dai coglioni e basta. E non sai proprio chi hai davanti.

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E il tuo ossessivo gusto per il controllo e l’ansia per le loro prestazioni ti rassicurano del fatto che stai facendo il tuo dovere, che così li guidi e li indirizzi, che così non si perdono nel mondo pieno di insidie, che così li stai educando.

L’ideale sarebbe invece dichiarare il silenzio stampa fino all’arrivo di tempi migliori, comunicare solo le cose essenziali per la sopravvivenza e solo via wattsapp, spararsi i mantra di Sai Baba direttamente nelle vene, coltivare la fiducia nell’avvenire che tanto tutto passa e soprattutto non lasciare mai e poi mai incustoditi il portafoglio e le password dell’home banking… Perché tu ti trattieni dal fulminarlo, ma lui ti spolpa senza pietà!

 

FESTA MOBILE

Sto nel bisogno, nella malinconia, nella tristezza. Nella stanchezza di bastare a me stessa.

Pur bastandomi, non sono sufficiente. Pur amandomi, ho fame d’amore.

Fame di contatto, fame di silenzi condivisi e di parole non dette in due.

E di balli ballati e di baci baciati e di sguardi esclusivi.

Adesso che non ho più paura voglio qualcuno che mi faccia coraggio. Adesso che mi vedo voglio qualcuno che mi guardi.  Adesso che conosco il mio valore voglio qualcuno che mi apprezzi.

Essere è essere percepiti.

E sto anche nella gioia della contemplazione del bello, sto nel respiro dove mi ritrovo e mi espando, sto nell’agire dove mi sperimento. E prendo tutto di me, compreso l’animale. E questo mi fortifica.

E mi faccio testimone imparziale e compassionevole dei miei goffi tentativi di riordinare le scartoffie della vita che, ahimè, non può essere compresa.

E guardo e tocco il mondo per farlo esistere. Con curiosità e godimento, qualche volta con pudore.

Non da una prospettiva di mancanza, bensì di pienezza.

Ah… il trambusto della Vita! …Che festa sarà domani?

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OVER THE RAINBOW

Una domenica pomeriggio al Ticino,

camminare fino al Bosco Celtico e

ammirare l’arcobaleno.

Sole, nuvole, vento, verde d’erba e di foglie che tinge l’acqua del Naviglio.

Io, Monica e Anto, donne in cammino al grido di “piazza pulita”,

donne affamate d’amore,

donne e fantasmi come compagni di viaggio,

ognuna i suoi.

Passare dal dramma alla commedia,

dalla commedia al dramma

e finire alleggerite con una risata.

Parole e silenzi al tramonto di Tornavento,

in alto i calici, che poi da domani la dieta ricomincia,

che il mare ci attende,

e un’altra estate di belle speranze!

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Oggi sono io

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Vita, ti sento!

Primavera, leggerezza, Amore!

Meno cibo, più gusto!

Finestre aperte e il cuore?…segue…

Non c’è sofferenza nell’essenza.

Scoprirmi diversa da come mi ero immaginata,

e dunque me stessa.

Avere il mare dentro, nuotare con i pesci.

Un giro di valzer, piacere del ballo.

Piacere del bello…

…oggi sono Io.

Ho ascoltato la Teresina

“Ogni essere umano è una meraviglia ontologica” (Luigi Lombardi Vallauri)

La Teresina è l’anziana signora del terzo piano che se la incontro sulle scale o nell’androne non le basta di salutarmi, lei mi ferma per parlare. Di solito inizia col ricordarmi quanto io sia brava e quanto i miei figli siano fantastici, tanto che a sentir lei sembrano usciti da un collegio svizzero, il che mi consola, ma nello stesso tempo mi conferma nell’ idea di avere in casa due estranei. Io la ringrazio e muovo un passo, ma lei generalmente continua raccontandomi in modo assai particolareggiato episodi della sua vita a me estranei, compresi i dolori e le gioie della sua solitudine con gatta, al che io faccio cenni di comprensione e muovo il secondo passo, ma non posso andarmene finché lei non conclude con molti altri apprezzamenti e infine mi incorona come miglior vicina di sempre. Io, a questo punto del teatrino, accetto il premio con imbarazzo e torno di corsa ai miei affari.

Durante questi incontri di solito ascolto educatamente, cercando di non fare troppe domande, mentre penso al cane che tira reclamando la sua passeggiata, ai figli da sfamare e in generale al mio tempo che passa in fretta e si perde nella moltitudine di dettagli vitali per lei, ma  superflui per noi che andiam di WhatsApp.

L’altro giorno però è successo qualcosa di inedito e per la prima volta mi sono scoperta ad ascoltarla, arrendendomi a quella situazione per cui di solito provo solo irritazione. E’ stato come vederla per la prima volta: la sua generosità nell’esprimere i complimenti mi ha dato la misura del suo cuore, la sua resistenza fisica tra mille acciacchi e intereventi mi ha dato l’idea della sua forza e della sua volontà, il suo saper tenere a bada chi non le piace mi ha dato l’immagine del suo pensiero lucido e dell’alta opinione che ha di sé.

Non me ne sono resa conto subito: questo ribaltamento di prospettiva è avvenuto dopo averla salutata ed essere rientrata nel mio appartamento. Ed è potuto succedere credo grazie al fatto che mentre parlava io ero lì, presente, in ascolto. Mi sono accorta anche che, per la prima volta, mi ha fatto sinceramente piacere ricevere le sue lodi e offrire il mio aiuto in caso di bisogno.

E ho pensato a quanta fatica si faccia di solito a stare inaspettatamente davanti all’altro che piange o che ride la sua verità. E’ più facile irritarsi perché è  quasi ora di preparare il pranzo e perché si arriva tardi al lavoro, o defilarsi in fretta con consigli spicci il più delle volte non richiesti, invece di fermarsi e commuoversi davanti alla meraviglia e alla vastità di un sogno, di un desiderio, di una vocazione che incarnata ti parla guardandoti negli occhi.

A pensarci bene, quante occasioni avrò ancora di incontrare la Teresina sulle scale e di venire avvolta da un suo tenero sorriso e da una sua buona parola? Posso solo ringraziarla e specchiarmi in lei per trovare qualcosa che anche io posso esprimere: andare incontro all’altro così, con un abbraccio, anche solo pensato. Per accoglierlo e per benedirlo perché ognuno di noi è una meraviglia ontologica, stupenda definizione. E se ce lo ricordassimo, ci chiederemmo a vicenda qualche minuto di contemplazione giornaliera, per perderci nel mistero dell’altro  con uno sguardo, un sorriso, una  lacrima.

Sarebbe bello sostituire i giudizi con la semplice curiosità di vedere come un altro umano se la sta cavando… a volte può persino tornare utile come stimolo alla creatività o al cambiamento!

Intanto provo a esercitare questo sguardo meravigliato negli incontri quotidiani, per vedere che succede.

25 aprile: Liberazione!

Questo è l’estratto dell’articolo.

Oggi mi dichiaro libera dai ritmi imposti, dal trucco e dai vestiti di ordinanza. Libera di dire di no agli impegni, agli inviti, ai pranzi e alle lavatrici.

Libera anche da me stessa, lasciare che l’essere anche solo per qualche ora abbia la meglio sul dover essere. Libera di desiderare senza inventarmi i come o giustificarmi coi perché.

Oggi sono libera anche dall’ansia e celebro in solitudine beata la vittoria del cuore anarchico sulla dittatura della mente.

Libera partecipo al banchetto della Vita, prendendo ciò che più mi piace e non solo quello che mi fa bene, non avendo sguardi se non per la bellezza.

Libertà è partecipazione alla beatitudine dell’essere essenziale che alberga dentro di me.

Libertà è il qui e ora della gratitudine… apprescindere!!!

Bella, ciao!

 

articolo

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